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sabato 5 gennaio 2013
Annie Besant – Il potere del pensiero
(da: “Il potere del
pensiero”, pp. 22-30)
Gli inizi del
pensiero
Pochi di coloro che non studiano psicologia hanno preso
seriamente ad esaminare la questione: come ha origine il pensiero? Quando
veniamo al mondo ci troviamo in possesso di un gran numero di pensieri già formati,
di un’ingente quantità di quelle che diciamo “idee innate”. Sono concetti che
noi portiamo nel mondo, risultato riassuntivo e sommario delle vite precedenti.
Con questa provvista cominciamo il nostro lavoro nella vita attuale, e lo
psicologo non è mai capace di studiare gli inizi del pensiero con
l’osservazione diretta.
Egli può, tuttavia, imparare qualche cosa osservando un
bambino, poiché appunto come il nuovo corpo fisico percorre, nella vita
prenatale, la lunga evoluzione fisica del passato, così il nuovo corpo mentale
attraversa celermente gli stadi del suo lungo sviluppo. È vero che il “corpo
mentale” non è affatto la stessa cosa del “pensiero” e perciò anche studiando
lo stesso nuovo corpo mentale non studiamo in alcun modo “gli inizi del pensiero”;
ad un grado ancor più elevato questo è vero, quando si consideri che pochi
possono davvero studiare il corpo mentale, direttamente, ed invece si devono
limitare alla osservazione degli effetti dell’azione di quel corpo sul suo
compagno fisico, il cervello ed il sistema nervoso. Il “pensiero” è distinto
tanto dal corpo mentale quanto dal fisico, poiché appartiene alla coscienza, al
lato vita, mentre quei due corpi appartengono ambedue alla forma, al lato
materia, e non sono che veicoli o strumenti transitori. Come già fu detto, lo
studioso deve sempre tener presente “la
distinzione fra colui che conosce e la mente che è lo strumento per cui si
ottiene la conoscenza”.
Costruzione ed
evoluzione del corpo mentale
Dovrebbe essere facile affermare il metodo col quale la
coscienza costruisce il suo veicolo, perché ogni giorno, ogni ora ci offre
opportunità di applicarlo a fini elevati. Vegliando, dormendo apportiamo
materiali per i nostri corpi mentali; poiché quando la coscienza vibra,
impressiona la materia mentale circostante, ed ogni movimento della coscienza,
se anche dovuto solamente ad un pensiero momentaneo, attrae nel corpo mentale
molecole di materia mentale e ne manda via altre. Quanto riguarda il veicolo –
il corpo – è dovuto a vibrazioni, ma non si deve dimenticare che la vera essenza della coscienza è la costante
identificazione del Non-Sé (la Personalità), e nello stesso tempo il
riaffermare se stessa rigettando il Non-Sé; la coscienza consiste nel processo
alternante dell’asserzione e della negazione, “Io sono questo”, “Io non sono
questo”; di qui il suo movimento che cagiona, quell’attrarsi e respingersi
della materia che noi chiamiamo una vibrazione. Dunque la materia circostante è
messa in moto ondulatorio, e serve così come mezzo per impressionare altre
coscienze.
Ora la sottigliezza o la grossolanità della materia così
impiegata dipende dalla qualità delle vibrazioni emanate dalla coscienza. I
pensieri puri ed elevati, sono costituiti di vibrazioni rapide le quali possono
impressionare solo i gradi più alti e sottili di materia mentale, mentre quelli
più grossolani non ne restano toccati essendo incapaci di vibrare con la
necessaria rapidità. Quando uno di questi pensieri fa vibrare il corpo mentale,
le molecole di materia meno sottile sono da questo espulse e sostituite da
molecole di gradi più elevati; in questo modo materiali più fini entrano a
costituire il corpo mentale. Così pensieri bassi e malvagi attirano nel corpo
mentale materia più grossa, in cui esprimersi, e questa respinge ed espelle la
materia sottile.
Quando veniamo in comunicazione con qualcuno, i cui pensieri
siano elevati, le sue vibrazioni, agendo su di noi, ne destano altre in quella
materia dei nostri corpi mentali che è capace di rispondervi; le quali
vibrazioni disturbano ed anche espellono quella materia che, per la sua
inferiorità, sia incapace a vibrare a quel grado di attività. Cosicché il
beneficio che possiamo ricevere da questa persona è in gran parte dipendente
dal modo di pensare da noi tenuto in passato, che condiziona la nostra “comprensione”
di lei, la nostra responsività. Uno non può pensare per un altro; così quella
persona, mettendo in azione i propri pensieri, desta vibrazioni nella materia
mentale che lo circonda, le quali agiscono su di noi, suscitando vibrazioni
simpatiche nei nostri corpi mentali; queste impressionano la coscienza. Un
pensatore estraneo a noi può dunque aver azione sulla nostra coscienza solo
destando tali vibrazioni nei nostri corpi mentali.
Ma non sempre alla produzione di esse, che sono originate
dal mondo esterno, segue una comprensione immediata. Talora l’effetto somiglia
a quello del sole, della pioggia e della terra sul seme che giace sepolto nel
seno di questa. Dapprima non c’è risposta visibile alle vibrazioni che agiscono
sul seme, ma là dentro c’è un certo piccolo tremolio della vita animante,
tremolio che crescerà sempre più in forza, finché la vita evolvente rompe l’involucro
del seme ed emette la radicina e la punta germinativa.
Così è della mente. La coscienza vibra debolmente nel suo
interno prima di esser capace di dare una risposta esterna agli urti che
riceve, e quando noi non siamo ancora capaci di comprendere un nobile pensatore,
c’è tuttavia in noi un movimento lieve ed inconscio, foriero della conscia
risposta. Nell’allontanarci da un grande pensatore, ci troviamo un poco più
vicini alla rigogliosa vita di pensiero che da lui fluisce di quello che non
fossimo prima di accostarci a lui; germi di attività intellettuale sono stati
vivificati in noi e le nostre menti sono state aiutate, in questo modo, nella
loro evoluzione.
Qualche cosa dunque nella formazione ed evoluzione della
nostra mente può venirci dall’esterno, sì, ma molto è quello che deve derivare
dalle attività della coscienza nostra, e se noi vogliamo avere un corpo mentale
robusto, pieno di vita, attivo, abile a comprendere i pensieri più elevati,
dobbiamo lavorare indefessamente con retti pensieri giacché noi siamo i
costruttori di noi stessi e da noi modelliamo la nostra mente.
Parecchi leggono molto. Ebbene non è il leggere che aiuta lo
sviluppo della mente, ma il pensare. La lettura ha un valore solo in quanto
fornisce materiali al pensiero. Possiamo leggere molto, ma lo sviluppo mentale
sarà in proporzione del pensiero impiegato nella lettura, e il valore, per noi,
del pensiero che leggiamo, dipenderà dall’uso che ne faremo. E se non
raccoglieremo dal libro i pensieri per elaborarli da noi, il loro utile sarà
ben piccolo e passeggero. “La lettura” dice Lord Bacone, “sazia”, sia la mente
che il corpo fisico. Anche il mangiare apporta dei materiali nel nostro
stomaco, ma come il cibo è inutile al corpo se non è digerito ed assimilato,
così la mente può essere ripiena del lungo leggere, ma se non vi è pensiero, se
ciò che è letto non viene assimilato la mente non si sviluppa. Anzi,
probabilmente, ne soffrirà e si indebolirà come sotto un fastello di idee non
assimilate.
Dovremmo legger meno e pensar di più se vogliamo lo sviluppo
della mente, l’estendersi dell’intelligenza, e se la cultura della mente ci
interessa davvero, dovremmo ogni giorno passare un’ora nello studio di qualche
libro serio e profondo, e, leggendo per cinque minuti, pensare poi per dieci, e
così via per tutta l’ora. Il modo più comune è invece di leggere per un’ora
intera senza fermarsi e con velocità, e poi non pensar più a quel libro finché
non lo si riprenda per rileggerlo. Ed ecco perché la gente sviluppa così poco
il potere del pensiero.
Dapprima troverà questo sforzo affaticante e penoso e si
accorgerà della debolezza del potere del suo pensiero, scoperta che sarà il
primo passo, poiché è già molto che egli si avveda della sua impotenza a
pensare fermamente di seguito. Coloro che non possono pensare ma si immaginano
di poterlo, non fanno grande progresso, poiché è meglio conoscere la propria
debolezza che credersi forte essendo impotente. E questa debolezza, che si
manifesta nella distrazione della mente, nel senso di dolore, confusione e
fatica che si produce nel cervello, dopo uno sforzo prolungato per seguire una
linea difficile di pensiero, è simile a ciò che si prova nei muscoli dopo un
forte esercizio ginnico. E con un esercizio regolare e persistente – ma non
eccessivo – il potere del pensiero crescerà come cresce quello dei muscoli, ed
allora ci sarà anche possibile rendercene padroni e dirigerlo a fini
determinati. Se noi non pensiamo così, il corpo mentale rimane indefinito nella
sua formazione e non organizzato, e se non ci abitueremo alla concentrazione –
il tenere cioè fissa la mente su di un punto definitivo – non potremo mai
esercitare il potere del pensiero.
Nel cervello v’è un piccolo organo, la glandola pineale, di
cui i fisiologi occidentali ignorano la funzione, di cui gli psicologi
occidentali non si occupano. Nella maggior parte degli uomini è un organo
rudimentale, ma in via di evoluzione, non di regresso, ed è possibile
accelerarne lo sviluppo in una condizione in cui esso può eseguire la propria
funzione, quella che, in futuro, si adempirà in tutti. È l’organo della
trasmissione del pensiero, come l’occhio della visione e l’orecchio dell’udito.
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