sabato 5 gennaio 2013

Mère – Sul pensiero



(da una conferenza tenutasi a Parigi nel 1911)


Mi sembra innanzi tutto necessario distinguere due generi, potrei dire due qualità molto diverse di pensieri: i pensieri che esistono dentro di noi come risultato e frutto delle nostre sensazioni e i pensieri che ci visitano, che sono come esseri viventi. Da dove vengono? La maggior parte delle volte non lo sappiamo e la mente li percepisce prima ancora che si traducano nelle sensazioni del nostro essere esteriore.

Per poco che vi siate osservati, dovete aver notato come il contatto con ciò che non fa parte di voi si stabilisca innanzi tutto per mezzo dei sensi: vista, udito, tatto, odorato, gusto. L’impatto così provato, dolce o violento, gradevole o sgradevole, risveglia in voi un sentimento di antipatia o simpatia, attrazione o repulsione che presto si trasforma in un’idea, in un’opinione che si forma in voi sull’oggetto, qualunque esso sia, che ha determinato il contatto.

Ad esempio: state uscendo e mentre siete sulla soglia di casa vedete la pioggia che cade e allo stesso tempo avvertite un freddo umido. La sensazione è sgradevole, provate antipatia per la pioggia e in modo quasi meccanico vi dite: “Com’è fastidiosa questa pioggia, soprattutto adesso che devo uscire! Senza contare poi che mi sporcherò in modo atroce. Parigi è terribilmente sporca nei giorni di pioggia, e proprio in questo periodo in cui ci sono lavori in corso in tutte le strade…” (e così di seguito).

A causa di questo semplice fatto – la pioggia – il vostro cervello viene assalito da tutti questi pensieri, e da molti altri ancora, analoghi, e se non c’è qualcos’altro che venga ad attirare la vostra attenzione, quasi senza che ve ne accorgiate il vostro cervello riuscirà a fabbricare per un bel po’ un mondo di piccoli pensieri senza valore a proposito di questa piccola sensazione senza importanza.

Ecco come si svolge la maggior parte delle vite umane; quello che gli esseri umani di frequente chiamano pensare. Un’attività mentale quasi meccanica, spontanea, che sfugge al nostro controllo, come un riflesso. Sono della stessa qualità anche qui pensieri che si occupano della vita materiale e dei suoi molteplici bisogni.

Eccoci di fronte ala prima difficoltà da superare. Se vogliamo arrivare a pensare davvero, cioè a ricevere, a formulare e a formare dei pensieri validi e vivificanti, dobbiamo innanzitutto far sì che il nostro cervello diventi un terreno vergine, incontaminato da questa agitazione mentale disordinata e imprecisa. E non è certo la parte più facile del nostro compito. Noi non siamo i padroni, ma veniamo dominati da questa parte cerebrale irragionevole.

Un solo metodo può essere raccomandato: la meditazione. Ma come ho già detto in passato, ci sono diversi modi di meditare, alcuni molto più efficaci di altri.

Quando, con uno sforzo metodico e ripetuto, sarete in grado di oggettivare e di tenere a distanza tutta questa marea di pensieri incoerenti che ci assalgono, vi accorgerete allora di un fenomeno nuovo.

Osserverete che ci sono in voi alcuni pensieri più forti e più tenaci di altri; pensieri che riguardano gli usi dell’ambiente, le usante, le leggi morali e persino le leggi generali che governano la terra e l’uomo. Sono le vostre opinioni su questi argomenti, o perlomeno quelle che professate e mediante le quali cercate di agire. Osservate una di queste idee, quella che vi è più familiare, guardatela con attenzione, concentratevi, riflettete in tutta sincerità togliendovi di dosso, se possibile, ogni partito preso, e domandatevi perché avete quella opinione sul tale argomento e non un’altra. La risposta sarà in modo invariabile quasi sempre la stessa, perché è l’opinione corrente del vostro ambiente, quella che è bene avere e che di conseguenza vi evita il più possibile gli urti, gli scontri e le condanne. Oppure perché tale era l’opinione di vostro padre o di vostra madre, quella che ha formato la vostra infanzia. Oppure ancora perché questa opinione è la conseguenza normale dell’istruzione, religiosa o altra, che avete ricevuto nella vostra giovinezza. Per poterlo considerare vostro dovrebbe far parte di una sintesi logica da voi elaborata durante il corso della vostra esistenza, sia mediante l’osservazione, l’esperienza e la deduzione, sia attraverso la meditazione e la contemplazione profonda e astratta.

Ecco quindi la nostra seconda scoperta.

Poiché siamo di buona volontà e cerchiamo di essere integralmente sinceri, cioè di conformare i nostri atti ai nostri pensieri, eccoci consapevoli di agire a partire da leggi mentali che riceviamo dall’esterno, senza averle considerate e analizzate con ponderazione, senza averle accolte in modo volontario e cosciente, ma solo perché inconsciamente ci siamo sottomessi ad esse a causa dell’atavismo, dell’educazione, dell’istruzione, e soprattutto perché subiamo la suggestione collettiva, così potente e dominante che ben pochi riescono a sfuggirle del tutto.

Ed eccoci qua, ben lontani da questa individualità mentale che vogliamo acquisire. Siamo un prodotto determinato da tutti coloro che ci hanno preceduti e mossi dalla volontà cieca ed arbitraria dei nostri contemporanei.

Vi citerò in proposito un passaggio del Dhammapada[1] che vi darà un’idea dell’enorme importanza che l’antica saggezza attribuiva al pensiero.

Per quanto male reciproco possano farsi persone che si odiano, o nemici, un pensiero mal diretto potrà farne ancora di più.
Per quanto bene possano fare il padre, la madre, i parenti, un pensiero ben indirizzato ne farà ancora di più."

E se vi soffermate a considerare il numero incalcolabile di pensieri emessi ogni giorno, vedrete formarsi davanti alla vostra immaginazione un quadro complesso, mobile, fremente e terribile di tutte le formazioni che s’incrociano e si scontrano, che lottano, soccombono e trionfano in un moto vibratorio così rapido che possiamo appena figurarcelo.

Potete ora rendervi conto di quale può essere l’atmosfera mentale di una città come Parigi, dove milioni di esseri pensano, e che pensieri? Voi vi figurate questa massa gorgogliante e fremebonda, quest’inestricabile groviglio? Ebbene, nonostante tutte le tendenze, tutte le volontà, le opinioni contraddittorie, si stabilisce una sorta di unificazione, d’identità tra queste vibrazioni, poiché tutte, a parte eccezioni trascurabili, esprimono la cupidigia nelle sue molte forme, nei suoi molteplici aspetti, e a tutti i livelli.

Tutti i pensieri della gente mondana che non ha altro scopo che quello di godere e divertirsi esprimono la cupidigia.

Tutti i pensieri dei produttori intellettuali o degli artisti assetati di considerazione, di fama e di onori, esprimono la cupidigia.

Tutti i pensieri delle migliaia di impiegati e operai, di tutti gli oppressi, gli sfortunati, i vinti, in lotta per migliorare la loro triste vita esprimono la cupidigia.

Se qua e là si vede a volte la scintilla di un pensiero disinteressato, puro, di una volontà di ben fare, di una ricerca sincera della verità, ben presto essa è inghiottita da questa massa densa che si muove come una marea melmosa.

E tuttavia sta a noi accendere le stelle che, una dopo l’altra, rischiareranno questa notte.

Ma per il momento ci viviamo nel mezzo, l’assorbiamo, poiché nel dominio mentale, come in quello fisico, il nostro scambio con l’ambiente è costante.

Immaginate a che punto siamo contaminati ogni giorno, ogni minuto.

Chi tra noi può dire di non aver mai provato la cupidigia o che non la proverà mai più? E come si può, del resto, non provare la cupidigia quando l’aria stessa che respiriamo ne è satura? Come non sentir montare dentro di sé la folla dei desideri quando tutte le vibrazioni che riceviamo sono fatte di desideri?

Eppure, se vogliamo che il nostro pensiero sia positivo ed efficace, dobbiamo liberarci da questa schiavitù.

Un pensiero saggiamente indirizzato e formulato può risvegliare, per affinità, un barlume di saggezza in moltissime menti ancora ottenebrate, e metterle in marcia verso l’evoluzione progressiva; può farci da intermediario presso un malato per attirare verso di lui le forze vitali necessarie alla sua guarigione; può vegliare su un amico o una persona cara e tener lontani da loro i pericoli, sia avvertendoli con la comunicazione mentale e per il tramite dell’intuizione, sia agendo direttamente sulle cause del pericolo.

Purtroppo è vera anche la controparte di tutto questo, e cioè anche i pensieri malvagi hanno la stessa potenza d’azione.

Non possiamo immaginare tutto il male che facciamo accogliendo ed emanando pensieri negativi, pensieri di odio, di vendetta, di gelosia, d’invidia, pensieri malvolenti, giudizi inflessibili, apprezzamenti settari.

Tutti sappiamo quanto sia malsano ascoltare e ripetere le maldicenze, ma astenersi dalle parole non basta. Bisogna astenersi dai pensieri.

Niente infatti è più dannoso, per se stessi e per gli altri, di questo spirito senza carità. Quante volte ci è successo di sentire una barriera insormontabile alzarsi tra noi e qualcuno che conoscevamo. Eppure, di fronte a quella persona, i nostri atti e le nostre parole erano sempre stati perfetti e cortesi.

Ma abbiamo lasciato che, a sue spese, si esercitasse in oi questo spirito d’analisi e di critica che, liquidando a buon mercato le qualità, vede solo i difetti. Magari senza cattiveria, ma con una tale sfumatura d’ironia e di malizia, con un tale senso della nostra superiorità, che poveri noi! E così, a poco a poco, a goccia a goccia, tra quella persona e noi si crea un vero e proprio fiume in piena, che, nonostante tutti gli sforzi che possiamo fare per riavvicinarci, sul piano fisico, ci allontana sempre più l’uno dall’altro.

Per quello che ci tocca nelle nostre persone, è necessario essere ancora più prudenti, e seguire in modo scrupoloso una regola ferrea: mai giudicare nulla senza esservi messi prima, con la più grande impersonalità possibile, al posto dell’altro, chiunque egli sia, e aver cercato di provare quello che lui prova, vedere quello che lui vede. Allora,, se saremo arrivati a essere davvero sinceri, quante volte vedremo le nostre valutazioni farsi meno severe e diventare più giuste!

D’altra parte, e generalmente parlando, in quale luce guarderemo le cose che vogliamo giudicare? Quale dovrà essere il nostro criterio? Noi ci immaginiamo dunque di essere in possesso della saggezza suprema, della perfetta giustizia, tanto da poter dire con certezza: questo è giusto, quello è sbagliato? Non dobbiamo mai dimenticare che le nostre nozioni del bene e del male sono del tutto relative e ignoranti al punto che, per quanto riguarda gli altri, spesso troviamo da ridire su azioni che possono essere l’espressione di una saggezza molto più grande della nostra.

La vera sapienza non giudica. Essa studia i fenomeni con la più grande esattezza possibile, nelle loro molteplici cause, nei loro numerosi effetti. Essa dice: “Questo determinerà quello, dunque considerate, prima di agire, se il risultato si conforma a quello che volete”. In tutti i casi, anche se riusciamo ad avere, per quanto ci riguarda, un criterio che sia una più o meno esatta approssimazione del nostro ideale migliore, in tutta la sua intensità e nel suo splendore progressivo, questo non ci dà alcun diritto di esiger dagli altri che accettino il nostro ideale e lo realizzino, a meno che non sappiamo per certo che il nostro ideale è superiore al loro, ma per avere una simile certezza, il nostro ideale dovrà essere in ogni suo punto conforme all’ideale supremo, all’ideale assoluto, al disegno universale nella sua più intima essenza.

Nell’attesa di raggiungere simili trascendenze potremo sempre ricordare che sono i pensieri malvolenti o poco caritatevoli emessi dagli uomini i principali responsabili delle barriere che li dividono. Tali pensieri rendono la loro unione pressoché impossibile, anche laddove essi la desiderino.

Di continuo ci sforziamo di raggiungere con le nostre azioni fisiche cose che, con le nostre azioni mentali, non cessiamo mai di ostacolare.

Sorvegliamo dunque i nostri pensieri, lottiamo per crearci un ambiente di pensieri belli e nobili e avremo fatto molto per affrettare la venuta dell’armonia sulla terra.


[1] Il Dhammapada (o anche Dharmapada) è un testo del canone Buddhista che secondo la tradizione riporta parole pronunciate direttamente da Gautama Buddha in varie occasioni.

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